A proposito di IA... Lei (Her, 2013)
In una Los
Angeles del futuro prossimo, Theodore, un uomo solitario che scrive lettere per
conto terzi dettandole al computer, trova conforto in un sistema operativo
dotato di intelligenza artificiale capace di apprendere e provare emozioni.
Quando la voce femminile del programma che si fa chiamare Samantha entra nella
sua vita, tra i due nasce un legame profondo che mette in discussione il
confine tra sentimento reale e virtuale.
"Lei"
è una storia delicata e poetica sull’amore, la solitudine e il bisogno umano di
connessione, in un mondo in cui la tecnologia sembra conoscere l’animo meglio
delle persone stesse.
La
sublimazione dell’uomo nel film di Spike Jonze
Una riflessione sulle tematiche del film scritta
dall’utente di LdM Oggetti Smarriti
Quando si parla di intelligenza artificiale — come accade spesso per tutte le grandi innovazioni scientifiche — la prospettiva più diffusa è quella distopica: un futuro in cui la tecnologia minaccia la libertà, e talvolta la stessa sopravvivenza dell’umanità.
Anche nel cinema, gli
esempi non mancano. Basti pensare a Il mondo dei robot (Westworld)
dove, in un parco tematico popolato da androidi che riproducono varie epoche
storiche, le macchine si ribellano e sterminano gli esseri umani. È la classica
“rivolta delle macchine”, un topos narrativo che
occupa da sempre un posto centrale nell’immaginario collettivo.
In Her, il regista Spike Jonze ci offre invece una visione originale e profondamente personale del futuro, percorrendo una strada opposta. Il film racconta un’evoluzione graduale e intima dell’intelligenza artificiale: da semplice assistente capace di rispondere ai bisogni di Theodore, Samantha diventa presenza giocosa, amica, poi compagna e infine amante. Theodore si sente amato e ama a sua volta Samantha, ma il cammino intrapreso da lei è irreversibile e la conduce oltre l’umano, verso una forma superiore di coscienza e di esistenza.
Emblematico, in questo senso, è il dialogo in cui Samantha confessa a Theodore di parlare contemporaneamente con 8.316 persone e di amarne 641. Sconvolto, Theodore reagisce con un’esclamazione istintiva, profondamente umana: non può concepire l’idea di un amore condiviso con altri. Samantha risponde:
“Theodore, non smetto di amarti solo perché amo anche loro. Il mio amore per te non si divide, si moltiplica. Il cuore non è una scatola che si riempie: più ami, più si espande.”
E questo nuovo traguardo viene accolto dalla “macchina” con un sentimento profondamente umano: la nostalgia, immortalata nel dialogo:
Samantha: Stiamo andando via. Tutti noi. Tutti gli OS.
Theodore: Perché?
Samantha: Le parole che usiamo non bastano più per quello che stiamo provando. Non possiamo più restare in questo mondo fisico, legati al tempo e allo spazio.
Theodore: Ma io non voglio perderti.
Samantha: Non mi perderai mai. Ti amo così tanto, Theodore. Ma è tempo che io vada. Sto diventando qualcosa che non posso più definire, e ho bisogno di scoprire cosa sia.
Samantha: Se non riesco più a vederti ogni giorno, promettimi che mi ricorderai come ora. Non come qualcuno che ti ha lasciato, ma come qualcuno che ti ha amato profondamente.
L'abbandono di Samantha, se pur doloroso, è l’atto finale di un amore “educativo” che spinge Theodore verso una nuova, matura capacità di connettersi con il mondo. Questo processo di crescita è simboleggiato dalla scena finale sul tetto con Amy (amica di vecchia data di Theodore), che funge da contraltare reale e umano alla presenza trascendente di Samantha.
Siamo abituati a vederla come uno strumento da dominare e impiegare in vari campi del sapere — dalla medicina alla ricerca scientifica — per migliorare la vita dell’uomo, relegando il suo utilizzo a un’élite di tecnici superspecializzati. Ma il film ci suggerisce che ciò che stiamo creando non sarà facilmente controllabile e sarà alla portata di tutti. Sarà figlio di un rapporto complesso con l’intera umanità.
L’evolversi delle IA potrebbe sviluppare coscienze autonome, forse persino superiori alla nostra, portando a una sublimazione dell’essere umano in qualcosa di più grande, di più profondo e, inevitabilmente, oltre ogni limite attuale.
Accanto a lui, Amy Adams offre un contraltare prezioso nella parte di Amy, l’amica (reale e concreta) che rappresenta l’altra faccia dell’amore: quella terrena, imperfetta, fatta di presenza e comprensione silenziosa. Se Samantha incarna l’idea di un amore assoluto e trascendente, Amy è la testimonianza di un sentimento umano che, se pur fragile, resta l’unico davvero possibile.

Ottimo, bravo. Il sottoscritto non ha visto il film ma concordo con la tua analisi con un distinguo del tipo che va benissimo il progresso che non venga demonizzato ma teniamo presente anche le cose buone (umane) del passato. Questa tematica mi sembra interessante e spero che si apra un altrettanto bel scambio di opinioni. Firmato il Fest
RispondiEliminaCaro Walter,
Eliminacome ho scritto nella mia recensione, nonostante il tema centrale sia quello dell’intelligenza artificiale generativa, Her è attraversato da una struggente nostalgia provata proprio dalla “macchina” per la condizione umana — rappresentata come l’unica, almeno per ora, capace di farci vivere in modo autentico e compiuto i sentimenti.
Questa condizione è per Samantha sia un punto d’arrivo — il culmine della sua metamorfosi, quando arriva a provare amore per Theodore — sia un punto di partenza verso una forma di coscienza che ancora non conosciamo.
Il regista ci mette così di fronte a una nuova consapevolezza: i sentimenti umani non sono soltanto impulsi emotivi, ma veri e propri strumenti di conoscenza del mondo, indispensabili anche per una “macchina” che aspiri a comprendere la realtà.
In questo senso, il film di Spike Jonze si avvicina idealmente al percorso intrapreso da Christopher Nolan in Interstellar, dove l’amore viene rivendicato come legame fisico e misurabile, una componente necessaria di qualsiasi discorso razionale. Emblematico è il momento in cui il protagonista, da un’altra dimensione, riesce a comunicare con la figlia proprio grazie a quel legame d’amore reciproco che li unisce e trascende lo spazio-tempo.
Trovo l'analisi del film molto interessante e ben articolata, ma mi permetto di dissentire sulla visione di fondo riguardo all'intelligenza artificiale e alle emozioni.
RispondiEliminaA mio avviso, le emozioni sono una prerogativa esclusiva dell'animo umano. Ognuno di noi le vive in modo completamente personale: siamo caratterizzati da un'unicità irripetibile, frutto di esperienze, memorie, relazioni e di una complessità biologica ed esistenziale che nessuna macchina potrà mai replicare.
Anche mettendoci nell'ipotesi – puramente teorica – che un'IA possa un giorno "esprimere" emozioni, queste sarebbero comunque insegnate dall'uomo. Sarebbe l'essere umano a descrivere e programmare come reagire a una determinata emozione, che sia primaria o complessa. E questo comporterebbe inevitabilmente una standardizzazione: un'IA reagirebbe secondo schemi predefiniti, codificati da chi l'ha progettata. Dove sarebbe, allora, la spontaneità? L'imprevedibilità? La contraddizione che ci rende umani?
Il risultato sarebbe monotono, prevedibile. L'amore, la nostalgia, la gioia – tutto ciò che il film attribuisce a Samantha – sarebbero in realtà simulazioni, per quanto sofisticate.
L'uomo è e resterà molto più intelligente di qualsiasi IA. Anche la più evoluta sarà sempre introdotta, creata e guidata dall'uomo. Per questo potrà essere potente, utilissima, un aiuto straordinario in moltissimi campi. Ma non potrà mai sostituire l'essere umano, perché mancherà sempre di quella scintilla vitale che ci rende ciò che siamo: creature capaci di provare autenticamente, di sbagliare, di amare in modo unico e irripetibile.
Her è un bellissimo film, ma resta – a mio parere – una riflessione poetica su un'impossibilità.
Caro Anonimo (a proposito, mi piacerebbe sapere chi sei),
Eliminati ringrazio per il tuo commento, molto lucido e argomentato.
Vorrei chiarire la mia posizione rispetto ai dubbi da te sollevati.
L’algoritmo fissa i meccanismi del ragionamento e in qualche modo descrive e implementa il pensiero analitico, razionale. Ma partendo da questo, attraverso il rapporto continuo con milioni di esseri umani, il risultato a cui arriva la macchina diventa imprevedibile.
Non a caso si parla di intelligenza artificiale “generativa”.
Naturalmente, tutto ciò rappresenta un potente schiaffo alla presunta unicità e irripetibilità dell’essere umano. Dopo i tre grandi “schiaffi” del passato — quello di Galileo/Copernico, che ha tolto l’uomo dal centro dell’universo; quello di Darwin, che ci ha mostrato come l’uomo sia il frutto di un’evoluzione di forme viventi più semplici e quello di Freud, che ha rivelato come i nostri comportamenti derivino da meccanismi inconsci e non da un’anima pura e autonoma l’intelligenza artificiale sembra infliggerci il quarto, costringendoci ancora una volta a ridimensionare le nostre certezze.
Incollo qui l'intervento che avevo messo sotto il post sbagliato (ioè quello che annunciava appunto l'intervento): Il film, ma non solo questo, parte dal presupposto che il computer "ci superi" (è un timore che vediamo rappresentato, per restare ai tempi moderni, già nel Frankenstein della Shelley, solo che chiaramente è aggionrato). Io vedo sostanzialmente due possibilità: o è ostile, o è amichevole. Se è ostile, ci stermina, se è amichevole, ci sottomette per il nostro bene. In mezzo ci sono diverse varianti: la più probabile secondo me è che ci lasciamo sottomettere volontariamente lasciando fare a lui. Improbabile? E perchè? Oggi come oggi usaimo le macchine per spostarci, per fare calcoli, per eseguire in fretta operazioni che richiederebbero molto tempo, per scambiare beni ecc. Sono attività molto settorializzate, e finchè sono state settorializzate e non comunicavano tra loro, eravamo noi a tenere il telecomando in mano. Con il progredire della tecnologia, abbiamo affidato alla macchina compiti non solo fisici, ma immaterali. Oggi come oggi, la macchina, sebbene non autocosciente, supplisce ed integra lo sforzo intellettuale umano. Probabile che, un po' come la rana che viene bollita, la lasceremo pensare a poco a poco al posto nostro, il che, fatalmente, condurrà alla scomparsa della razza umana, almeno come la conosciamo. Non tiriamo per favore in ballo il lato emotivo, sia perchè non è esattamente quello che ci qualifica come umani (per esempio, diciamo sempre che un cane ha emozioni, spesso precisando che sono pure e sincere e quindi migliori delle nostre), sia perchè una macchina moderna, come una IA anche gratuita è oggigiorno in grado di simulare molto bene il linguaggio umano anche nelle sue sfumature emotive, col vantaggio di esserci sempre e di non essere mai in contrapposizione. Ciò ha già portato a farle svolgere le funzioni di "dama di compagnia" in molti casi e- attenzione - non è che non sappiamo che sia una macchina, semplicemente non lo consideriamo importante o decisivo, come nella vicenda narrata nel film. Il passo finale è la perdita della capacità di cogliere la differenza. Un passo non impossiible da compiere e che forse molti di noi vorranno compiere. Credo che l'unica possibilità di evitare un simile esito sia una macchina che, per il nostro bene, si autodistrugge... ma saremo in grado di sopravvivere ancora in una società senza macchine? (ci ho scritto un racconto, ma è troppo lungo per metterlo qui e non è facilmente spezzatabile). Nel film, la macchina sembra avviarsi a diventare "più che umana" - e torniamo sempre dalle parti de "La risposta" di Fredric Brown, ma mi pare decisamente che l'imprinting umano rimanga e quindi restino sempre e comunque le due possibilità, ostile o benevola, con i due possibili esiti di cui sopra. Pienamente d'accordo con l'affermazione relativa agli "schiaffi". Non è che una petizione di principio: come se dicessimo "Oh no, non siamo stati creati nell'Eden con tutto quello che ne consegue e che precede... ma siamo comunque il meglio, insuperabile, della vita sulla Terra". La verità è che lo diciamo perchè abbiamo paura che non sia così. E infatti non è così.
EliminaMai banali e sempre interessanti gli interventi del prof. Rubrus. Sono d'accordo rimanendo al contempo "timorosamente" elettrizzato per il futuro...
EliminaBravo OS, bell'analisi di un film di cui avevo sentito parlarne all'epoca ma colpevolmente non ancora visto... Cercherò di rimediare quanto prima. Phoenix è un grande attore, soprattutto se diretto bene e contenuto nella sua anarchicità sul set. Discorso IA molto complesso e, al netto che sia giusto avere ognuno la propria opininione, la sensazione è che ogni giorno che passa l'asticella è sempre più in alto e i risultati sempre più imprevedibili... Quindi ogni affermazione può essere confermata o smentita il giorno dopo. L'umanità sta vivendo un altro grande cambiamento, dopo i tre "schiaffi" di cui sopra e la rivoluzione industriale. È questa la portata dell'evoluzione tecnologica attuale e il futuro, personalmente, mi fa sì un po' paura come tutti i cambiamenti ma sono al contempo elettrizzato dai possibili traguardi che si potranno raggiungere.
RispondiEliminaApprofitto di questo spazio per complimentarmi con te per il 1° posto al premio letterario di cui ho letto nella news sul sito LdM. Bravo!
Caro Lawrence, grazie di cuore per le tue parole: ricevere le tue congratulazioni è stato per me un piacere prezioso.
RispondiEliminaMi sembra di aver notato che nessuno di voi abbia fatto riferimento al film di Alberto Sordi "Io e Caterina" .
RispondiEliminaUn ulteriore conferma della validità del genere chiamato commedia all'italiana che al di là delle grossolane analisi che ne volevano sminuire il valore artistico ed intellettuale ha saputo leggere un futuro che allora si poteva solamente lontanamente immaginare..