La Letteratura Fantastica [4/5]

 


La Letteratura Fantastica - il Fantasy

Un'analisi del macro-genere scritta dall'utente di LdM Rubrus


Magari i miei cinque lettori si aspettano che chiuda il discorso che avevo iniziato un po' di tempo fa circa la narrativa fantastica. Erano quattro chiacchiere e quattro, insomma, devono essere.

Be', avevo detto che avrei parlato del genere fantasy – sempre da utente della narrativa, per carità, questo non è un "saggio" ma qualche elucubrazione di un fruitore del fantasy. Per onestà intellettuale devo dire di essermi avvicinato tardi al genere e di averlo frequentato abbastanza poco.
Personalmente, definisco fantasy quel genere di narrativa fantastica in cui predominano, nella costruzione della trama, elementi tratti da mitologie esistenti o inventate di sana pianta dall’autore.
In effetti, il fantasy è, tra i tre generi in cui si può sommariamente dividere la letteratura fantastica (e, sia ben chiaro, senza essere troppo categorici: sono indicazioni di massima e devono essere, secondo me, funzionali alla comprensione, non viceversa) quello più avulso dalla realtà.
L'horror si svolge in ambientazioni realistiche e contemporanee – anzi, la sua forza spesso deriva proprio da questo.
La fantascienza esige e pretende verosimiglianza scientifica.
Il fantasy della inverosimiglianza, della improbabilità, invece, fa la sua bandiera. Mi pare estremamente improbabile (anche non mi sento di escluderlo del tutto) che ci sia da qualche parte un trono di Aquilonia, un'isola di Melnibonè o una città di nome Lankhmar o Ankh – Morpork o un castello che si chiama Grande Inverno. Del realismo il fantasy se ne infischia, anzi, utilizza il fascino dell’impossibile proprio come le sirene usavano il loro canto.

Non è forse un caso, però, che a questa conclamata inverosimiglianza faccia spesso da contrappeso un’estrema analiticità e minuzia nella descrizione di mondi fantastici. Guardate come sono accurate le piantine che accompagnano i libri fantasy e la precisione, quasi da antropologo, da storico o da entomologo, con cui si descrivono creature immaginarie o reami o mondi inesistenti .

Credo che ciò dipenda da due ragioni.
Il primo è, credo, un’insopprimibile esigenza di coerenza della realtà. I mondi fantasy che mi è capitato d’incontrare sono a volte molto diversi tra loro, ma quasi tutti hanno una struttura interna molto solida. Il lettore fantasy non ha nessuna difficoltà ad immaginarsi una lucertola volante che sputi fuoco, ma esige che quel fuoco bruci. Anzi, di più, alle volte sente il bisogno di specificare che quel fuoco è, in realtà, un veleno che s’infiamma al contatto con l’aria (come di draghi descritti da Moorcock) o che il nostro lucertolone non potrebbe volare (si suppone che la gravità del mondo fantastico in esame sia come la nostra, altrimenti dame e cavalieri ballonzolerebbero come astronauti), ma vola perché le forze del Caos che s’infiltrano dal multiverso gli forniscono l’energia necessaria (sì, l’idea di multiverso è assai antica e probabilmente risale a millenni fa, comunque non l’ha inventata nessun romanziere occidentale del XX secolo).

Il secondo motivo, a mio parere, è più sottile e coinvolge, credo, l’essenza stessa della narrativa fantasy. All’inizio della nostra chiacchierata dicevo che, a mio giudizio, la narrativa fantastica si occupa spesso di assoluti: il Bene, il Male, la Vita, la Morte ecc. Reputo che, nel fantasy, questo emerga con particolare evidenza. L’esempio più noto è Tolkien. Sauron è il Male e non è (per interpretazione autentica dello stesso autore) Hitler in versione fantastica – casomai il buon vecchio Lucifero. Il Male dev’essere sconfitto e poche storie, senza gli infingimenti e i tentennamenti della vita reale. In Brooks è più o meno la stessa storia, almeno per quello che ho letto. Questa nettezza di forme e contenuti si trova però (a mio parere) anche in autori assai diversi. R.E Howard col suo Conan si pone il dilemma barbarie / civiltà (e tutte le sue simpatie vanno alla prima). Il Cimmero affronta i problemi della vita (che hanno l’aspetto di mostri e/o regine sessualmente depravate) e li sbaraglia a mazzate (coraggio, chi non ha mai sognato di farlo, almeno una volta?). Nella pessimistica saga di Elric, Moorcock rovescia gli stilemi del genere per dirci che (ed è esattamente il contrario di quello che sostiene Tolkien) alla fine è il Caos (leggasi pure entropia) a vincere e la fine coincide con la morte dell’universo… salvo poi ricominciare tutto nell’universo successivo. Nei romanzi di Leiber (un autore che preferisco come scrittore horror o SF, peraltro) compaiono, e senza maschera, gli archetipi della psicologia junghiana. Uno dei personaggi più riusciti del Mondo Disco creato da Pratchett è la Morte stessa, che agisce, filosofeggia e ci fa ridere allo stesso tempo.

Insomma: nel fantasy abbiamo a che fare con gli Assoluti, gli Interrogativi Ultimi, i Grandi Temi senza le difficoltà cognitive, interpretative, applicative che incontriamo nella vita di tutti i giorni.
Ecco perché, accanto alla pressoché assoluta improbabilità, i migliori libri fantasy (almeno, quelli che io giudico tali) sono intrisi di qualcosa molto simile alla logica formale (Lewis Carrol insegnava matematica).
A differenza del mondo reale, il mondo fantasy ha un senso o, quantomeno la possibilità di un senso, caratteristica che, nel mondo reale, non sempre ci è dato rinvenire. Ecco perché i romanzi fantasy hanno una struttura coerente. Esprimono spesso il bisogno di un senso, di un significato che il lettore non fatica a cogliere subito sotto la superficie delle cose (duelli, battaglie ecc.).
L’accusa che si muove al fantasy (e in generale alla letteratura fantastica) è di fomentare l’escapismo, la fuga dalla realtà. È un’accusa quasi sempre vera, ma che non si cura di una domanda fondamentale: fuga sì, ma per andare dove? Probabilmente in un mondo dove il bene vince e il male perde, un mondo molto vicino – se non proprio lo stesso – al Paese della Felicità dove, alla fine delle favole che ci raccontavano da bambini, vanno a vivere l’eroina e il Principe Azzurro.

Non si può portare avanti questo discorso senza citare le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin. Premesso che non ho finito la serie (troppo lunga: ma tanto, neanche lui ha terminato di scriverla!) e senza minimamente entrare nella critica della versione televisiva, a me pare che il segreto di quest’opera (e, come avrebbe detto Micheal J Fox, il segreto del suo successo), sia l’estremo realismo. Abbiamo sostanzialmente due registri e tre grandi fiumi narrativi, in questo grande flusso fantastico: uno in cui prevale il registro fiabesco / avventuroso, diviso in due filoni, abbastanza simili tra loro, ma speculari, che vedono come protagonisti Daenerys e Snow e che sono riconducibili grosso modo al tema cavalleresco della quest, della ricerca (di sé stessi, della vendetta, del rimedio contro gli Estranei, scegliete quello che preferite) e l’altro che, prendendo le mosse da una situazione alla "Guerra delle due Rose", fa prevalere il registro epico – sociologico, tra battaglie, intrighi di corte, lotte dinastiche ecc. Tutti e due sono gestiti secondo la struttura della soap, con tantissimi personaggi (Tolkien ha insegnato; a proposito: il mio personaggio preferito è il Mastino, seguito da Bron e Tyrion) presi, abbandonati sul più bello, ripresi ecc. 

Ovviamente ho semplificato moltissimo, con il rischio, anzi la sicurezza, di aver preso delle cantonate, ma credo che un dato sia importante. Diciamocelo. È bello credere che un hobbit può sconfiggere Sauron, ma tutti sappiamo benissimo che un signore della guerra proprietario di miniere d’oro ha maggiori possibilità di influire sul corso degli eventi e della Storia. Martin quindi ha fatto compiere al genere un ulteriore tratto della parabola: nelle forme del fantastico narra (a mio parere abbastanza scopertamente) il mondo reale. Prova ne sia che i suoi personaggi sono quasi tutti eticamente assai spregiudicati e, al netto delle forzature degli sceneggiatori, le migliori intenzioni portano chi le coltiva agli esiti peggiori, per sé e per gli altri. Ecco, forse azzardando un po’, credo – volendo sintetizzare il discorso in un paradosso – che il segreto di questa storia sia il suo realismo.

Ci dice che, anche se in modo traslato e, ovviamente, molto avvincente, le stesse dinamiche di questo mondo valgono negli altri mondi in cui l’essere umano, unitario e costante nei tratti essenziali della sua identità, è fedele a se stesso.
La ricerca del senso è a mio parere presente, anche se i termini della struttura sono invertiti, nei romanzi fantasy dove il meraviglioso irrompe nel quotidiano. Qui, a differenza degli altri, non siamo noi ad essere trasportati in un contesto fantastico, ma è il mondo fantastico ad essere – scopriamo – tutto intorno a noi. American Gods, di Gaiman, è un buon esempio. Stringi stringi, il tema è sempre quello: perché succedono le cose? Qual è il senso di questo o di quello – o, addirittura, di tutto?

Aggiungo che il fantasy è anche un buon banco di prova per verificare la fondatezza di un'affermazione di King (il saggio – quello sì che è un saggio – è "Danse Macabre" Ed. Theoria): tutta la letteratura fantastica si basa sul concetto di potere (anche l’horror e la fantascienza). Quella mediocre tratta di chi il potere ce l’ha e lo usa, quella di qualità superiore di chi il potere non ce l’ha, ma lo scopre oppure di chi lo perde, oppure di chi paga un prezzo salatissimo per averlo.
Ecco perché, a mio parere giustamente, le storie di sword and sorcery (alla Conan e anche alla Martin: come dicevo nelle Cronache c’è un po’ di tutto) sono di solito qualitativamente inferiori a quelle di epic fantasy (alla Tokien)… a proposito, alla faccia di chi ha in uggia le distinzioni, queste sono categorie descrittive usate dagli appassionati di fantasy e, francamente, sembrano eccessive anche a me – ma forse proprio appassionato di fantasy non sono.

Adesso facciamo il solito giro in libreria… sono tanti i romanzi fantasy, vero? Secondo me sono molti di più di quelli di fantascienza e dell’orrore ed è troppo facile liquidare il fenomeno come infantilismo editoriale e/o del lettore.
Io credo che le ragioni siano almeno due.
La prima è commerciale. Il Fantasy adora le saghe, i cicli interminabili. Il contrario di quel che succede, o dovrebbe succedere con l’horror che si sta "fantasyzzando" – i libri della Hamilton, con vampiri, zombi, stregoni inseriti nella nostra realtà e che convivono con gli umani sono un ottimo esempio (anche qui mi sono fermato a un libro solo, però). Un sottogenere viene proprio definito "urban fantasy".
La seconda è legata da un lato al bisogno di senso e alla crescente sfiducia nella tecnologia. Come dicevo quando palavo della fantascienza, ormai non capiamo più il progresso, non ce ne fidiamo più, abbiamo trascurato le grandi teorie, le grandi scoperte, le grandi invenzioni e ci siamo rifugiati nelle "apps" per il telefonino… ma non è la stessa cosa, vero?

Vado anche più in là. Abbiamo ancora bisogno di credere che, dietro l’angolo, ci sia la possibilità di un domani migliore dell’oggi e, cadute molte certezze (scienza, politica, religione ecc.), rimane, magari senza che ce ne accorgiamo, la bacchetta delle fate. Letteralmente e letterariamente.

Chesterton sosteneva che, quando gli uomini smettono di credere in Dio cominciano a credere a qualunque cosa e non escludo che dietro il boom del genere da trent’anni a questa parte possa esserci anche questo fattore. Un fattore magari poco influente, probabilmente minimale, ma non mi sento di escluderlo del tutto.


Prossimo appuntamento: La Letteratura Fantastica - Postfazione

Commenti

  1. Dalla fine del XX secolo, il Fantasy è molto popolare: in libreria, al cinema, in edicola con vari fumetti e nel videogaming... Chiaramente c'è la voglia di evadere e le nuove tecnologie (cinema e videogiochi) realizzano mondi immaginifici strabilianti. Non è il mio genere fantastico preferito comunque ho letto e apprezzato il Signore degli Anelli e da sempre leggo con piacere i fumetti ispirati al Conan il Barbaro di Robert E Howard. Prof Rubrus ti rinnovo i complimenti per questo interessante excursus che hai scelto di pubblicare e condividere con i lettori di LdM. Spero di leggere altro da parte tua da queste parti! Ciao

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    1. Innanzi tutto ricordiamo che i confini tra i generi sono labili: a mio parere, per esempio e come accennavo, "Star wars" è molto più fantasy che sf, mentre "Star Trek" l'opposto, ma l'elenco di queste narrazioni ibride potrebbe essere molto lungo. Il fantasy, o la fantasy, come si diceva una volta, può probabilmente, anzi, molto forse, contare su una maggiore duttilità di registri rispetto agli altri generi e, sicuramente, al suo interno si trovano tante opere diversissime. Della grande differenza tra la fantasy avventurosa, alla Conan, e quella epica, alla Signore degli Anelli, per esempio, al di là dei discorsi qualitativi, ho già parlato, ma, nel blog vero e proprio, ho trascurato, per esempio, di parlare di due altri tipi di storie che possono essere ricondotte al fantasy. La prima e quel filone in cui i protagonisti sono animali. Non è un genere diffusissimo in Italia, ma, prima di liquidarlo come "bambinata" o ritenerlo favola "tout court" pensiamo a "La Collina dei Conigli" di Richard Adams (in stato di grazia, gli altri suoi romanzi non arrivano a quel livello) che, tanto per volare basso, non fa altro che prendere l'Eneide, che a sua volta prende Odissea e Iliade, e trasformarlo nelle vicissitudini di un branco di conigli sulle colline inglesi che cerca una nuova patria dopo che la loro conigliera è stata distrutta per costruire un edificio. Il romanzo ha un vero e proprio registro epico, pur essendo scritto in linguaggio contemporaneo ed essendo i conigli del tutto credibili biologicamente - ma forse sono di parte perchè è il primo romanzo che abbia letto, tanti anni fa. Potrei citare anche "Il superstite" di Cassola o "La fattoria degli animali" ecc-

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  2. Il secondo filone, al confine tra sf e fantasy o fantasy storica è il genere ucronico o in cui si immmagina una storia parallela per diversi motivi, o perchè le vicende storiche sono andate diversamente (es "The man in the High Castle" o "Fatherland") o per altre ragioni - per esempio si immagina che i dinosauri non si siano estinti o che una legione romana sia finita in un mondo parallelo in cui c'è un omologo dell'impero bizantino (il ciclo di Videssos di H.Turtledove). Qui l'elemento magico propriamente detto è scarso o del tutto assente - anche se del resto è difficile parlare di fantascienza vera e propria.

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