E vissero felici e contenti
Benvenuto!
Oggi parliamo di...
Favole!
Di quando finivano immancabilmente con un bel:
E vissero tutti felici e contenti.
Perché non le sappiamo più raccontare né tanto meno...
Scriverle?
Siamo tutti depressi?
Paolo F
Benvenuto!
Oggi parliamo di...
Favole!
Di quando finivano immancabilmente con un bel:
E vissero tutti felici e contenti.
Perché non le sappiamo più raccontare né tanto meno...
Scriverle?
Siamo tutti depressi?
Paolo F
Non credo sia sempre così!
RispondiEliminaLe favole che si raccontano ai bambini, che io sappia, finiscono sempre bene, anche se ormai si contesta tutto, da Biancaneve a Cenerentola, da Pinocchio a Cappuccetto rosso.
Secondo me, in questo mondo malato, il bene non è più di moda e le favole non esistono più
Grazie Zero Assoluto
RispondiEliminaMondo malato...
RispondiEliminaCertamente c'è stata una straordinaria accelerazione di tutte le dinamiche, incluse naturalmente quelle sociali.,..
Soprattutto in campo sessuale una trasformazione che talvolta appare decisamente sopra le righe...ma che comunque ha abbattuto tanti Taboo
RispondiEliminaMa... Carissimo Zero assoluto non arrocchiamoci nostalgici in difesa dei mitici " Tempi belli di una volta"
RispondiEliminaScrivere una favola, come d'altronde scrivere qualunque storia, richiede una elaborazione maggiore di quella richiesta dal semplice "mi ricordo di quando...". Se è lecito guardare a quanto viene pubblicato da LdM, sono sempre di più i ricordi autobiografici che le storie vere. Una storia vera richiede sempre un impegno di worldbuilding che forse spaventa molti.
RispondiEliminaIn realtà il c.d. "wordbuilding" come si usa dire oggi, ha a che fare soprattutto con la finzione. Nella finzione, a mio parere, il lavoro è doppio: prima osservi la realtà (anzi no: ti fai una tua visione della realtà e te la metti su carta o pc) e poi estrapoli gli elementi che servono alla storia. Scrivere una storia è un po' come dipingere: se ti allontani troppo non vedi una mazza, ma se ti avvicini troppo, magari in nome di un inesistente realismo (ragazzi: da centovent'anni circa sappiamo che tutto è relativo e la realtà potrebbe essere fatta di stringhe o quanti che vibrano nel nulla) vedi solo le singole pennellate e non capisci una mazza lo stesso. Il fantastico richiede un lavoro ancora un po' diverso e scrivere favole, da cui pure il fantastico deriva, un lavoro diverso ancora e forse persino più arduo (io non sono capace).
EliminaOttima argomentazione, a breve dirò la mia. Il Fest
RispondiEliminaGilbert Keith Chesterton: "le favole non servono per dire ai bambini che i draghi esistono: i bambini lo sanno già. Le favole servono per dire ai bambini che i draghi possono essere sconfitti". Oggi (parlo dell'ultimo decennio soprattutto) mentiamo ai bambini dicendo loro che i draghi non esistono, poi, così, quando ne incontrano uno... gnam!. Nessuno ha mai rassicurato davvero un bambino dicendogli che non c'è nulla nell'armadio, tranne la sua immaginazione: per un bambino l'immaginazione è tutto.
RispondiEliminaTerry Pratchett "è una questione pratica: devi comincare a credere nelle piccole bugie, come Babbo Natale, la Fatina dei Denti ecc. per poter credere a quelle grandi: cose come l'amore, la pietà... " (Hogfather).
Crescendo si impara che i mostri non sono enormi lucertole sputafuoco, ma, come dice Stephen King, i mostri, i fantasmi, sono reali: sono dentro di noi. E qualche volta vincono.
Sempre come dice King (Joyland) "quando c'è in ballo il passato, diventiamo tutti romanzieri". Fatalmente, il più delle volte non è che una superfetazione dell'ego.
Infine, metterei un cartello di direzione ben segnalato: la coerenza interna è una cosa, il realismo un'altra. La narrativa tradizionale esigeva una coerenza interna. Esigeva cioè una "struttura". Dal Novecento, con la crisi di senso della realtà e delle costruzioni ideologico - religiose, la narrativa si è sempre più de-strutturata. Paradossalmente, quindi. è più "realista" di quella tradizionale. Ciò porta a due tendenze opposte: da un lato narrazioni sempre più "caotiche" , dall'altro narrazioni "a tesi" - praticamente delle prediche. A livello di narrativa popolare, che non va mai sottovalutata (in Italia è stata sbertucciata per decenni ed anche per questo si legge meno), ciò porta a narrative che, malgrado le apparenze, sono accomunate dall'essere rassicuranti: nella narrativa "nera" il cattivo di solito viene preso e l'ordine ripristinato (non sto a citare Eco e Vogel) in quella rosa l'amore trionfa ecc. E' il famoso "lieto fine" che cerchiamo perchè e in cui, nella realtà, crediamo sempre meno. Dire; mi piacciono le storie realiste e a lieto fine è quindi una contraddizione grossa come il Titanic. Va bene, i gusti non si discutono, probabilmente è persino necessario, ma rimane una contraddizione. Ecco perchè, ma è una mia ubbia, penso che, malgrado le forme eventualmente fantastiche, horror e noir siano i generi più realistici: perchè non c'è una garanzia di lieto fine, che può esserci o no, come nella vita reale. Al contrario, le storie a tesi mi danno sempre l'idea di aver a che fare con un baro: siccome lui ha una certa idea, manipola la vicenda in modo che dica certe cose. Se la sua idea, cioè l'ipotesi, avesse una qualche plausibilità, non avrebbe bisogno di manipolare niente (che poi: dà lui le carte, sai che fatica). Se invece la vicenda è eterodiretta dall'autore, vuol dire che, se la lasciasse scorrere come deve, finirebbe da tutt'altra parte, perciò la sua idea, o ipotesi. è, molto probabilmente, sbagliata.
RispondiEliminaBella provocazione PRFF e ottima mini-analisi del Prof.
RispondiEliminaNon ho gli strumenti per un'analisi socio-culturale così strutturata delle favole e della narrativa fantastica, ma io penso che ben poche storie che ricadono in questa categoria sono davvero a lieto fine, soprattutto i classici! Per un/una protagonista che se la cava, un tot di altre persone finiscono male non sempre meritandoselo. Quindi rispondendo alla domanda implicita dell'articolo, i lieto fine non sono mai realmente esistiti! Alcuni finali erano/sono consolatori, più che a lieto fine, e non è esattamente la stessa cosa...
Se qualcuno vuole approfondire l'argomento, sono imprescindibili, anche a ilvello superficiale, gli studi di Vladimir Propp (in rete si trova molto); quanto alle favole e alle fiabe prego tutti di liberarsi della sindrome di Walt Disney - peraltro, un genio indiscutibile; le favole "doc"non sono quelle dei suoi cartoni animati, che, benchè oggi qualcuno le consideri cruente, hanno di molto annacquato le versioni solitamente dei Grimm, che a loro volta hanno edulcorato le versioni precedenti (mi pare che in quella di Perrault, per esempio, il lupo si pappi lupo e nonna e tanti saluti al cacciatore). Il loro scopo, in una società più dura di quella in cui viviamo, era educare sovente attraverso la paura: erano altri tempi. Se poi guardiamo alla tradizione orale, non messa per iscritto, io stesso conosco alcune storie narrate ai bambini da far rizzare i capelli in testa - una la trovate riportata pressochè identica ne "L'albero degli zoccoli" di Olmi.
EliminaSono ammirata dal livello della vostra conversazione. Nel frattempo approfondirò il mondo delle fiabe. Invece dovremmo accendere una sfida e provare a trovare ogni tanto un lieto fine che non è necessariamente: “vissero felici e contenti” Che siano cambiati anche i lieti fini? E comunque un po’ depressi siamo. Ognuno sa di sé e a momenti alterni in compagnia della vodka. I lieto fine ha un finale sospeso… o il lieto fine lo confondiamo nel raccontarlo. Nella vita reale qual’e il vero lieto fine? È stato bello leggervi. Ondine
EliminaBe', sono due questioni differenti. In caso di finale aperto (io nei racconti lo uso abbastanza spesso, dovrebbe esserci nel prossimo) di solito chi scrive pone le premesse perchè il lettore possa immaginarsi uno o più, ma non tantissimi (già se superiamo i due, secondo me, cominciamo ad andare male) finali. Se il finale aperto, in realtà, è uno, sarebbe forse più corretto parlare di finale "immaginato" o "implicito". L'autore cioè sa perfettamente come finisce la storia e anche il lettore ci arriva senza possibilità di equivoci, ma l'autore preferisce che sia il lettore a scriversi mentalmente le ultime righe perchè il finale che ciascun lettore si immagina, in quanto "su misura", sarà quello più efficace per quello specifico lettore, anche se magari non per altri.
EliminaQuanto al lieto fine diverso dall'ultima riga delle favole, basta uscire dalle favole stesse e se ne trovano tantissimi. L'esempio più facile è il colpevole che viene arrestato. In generale, comunque, questi "lieto fine" vanno intesi in senso relativo. In una storia di solito c'è un equilibrio iniziale, una crisi che lo rompe, un obbiettivo da perseguire e un equilibrio finale. Il fine è lieto in funzione del rapporto tra equilibrio finale e obbiettivo: lo si è raggiunto? A che prezzo? Era quello che si voleva? Si rimpiange l'equilibrio iniziale? E così via. Faccio un esempio a bella posta "alto". Prendiamo il problema del male come viene affrontato (non risolto) nel libro di Giobbe: Giobbe se ne sta tranquillo e beato, ma un certo punto l'Onnipotente e Satana decidono di usarlo come una pallina da flipper. Giobbe supera la prova fedeltà e conclude la sua vita "sazio di giorni" : è stato raggiunto un nuovo equilibrio (NB: i giorni felici sia quelli di prima che quelli di dopo non vengono narrati perchè nel bene non c'è storia). E' un lieto fine? L'obbiettivo stato raggiunto e quindi la prima e irriflessa risposta potrebbe essere "sì", ma probabilmente figli, figlie, servi, serve e animali massacrati durante la partita a flipper escatologica sarebbero di parere diverso. E ancora: ne valeva la pena? E ovviamente non scendo ancora più in profondità nella questione. Faccio un salto nella Grecia di Omero prima di chiudere: Odisseo torna a casa, ammazza i Proci, re-impalma la moglie. Sembra un lieto fine, ma (non affronto la lettura in termini moderni perchè è sbagliato) ci si dimentica che a metà del poema Tiresia ci ha detto chiaro e tondo che non è finita: Odisseo dovrà ripartire, cercare un popolo che non conosce il mare e il sale e lì offrire un sacrificio a Poseidone; solo allora l'ordine sarà ristabilito (nelle storie antiche l'ordine terreno è sempre legato a un ordine superiore); allora Odisseo potrà tornare a casa e vivere i suoi ulimi giorni finchè la morte non lo coglierà da lontano - secondo una tradizione verrà ucciso dal figlio Telegono che non lo avrà riconosciuto. Insomma, anche nel mito, parente stretto della favola, (mythos = favola) il lieto fine, da sempre, non è mai "vissero felici e contenti". C'è sempre un ordine ristabilito, ma si è sempre perso qualcosa, si è sempre pagato un prezzo, la felicità non è mai piena. Il "Vissero felici e contenti" insomma è una condizione fuori dal tempo, pertanto non raccontabile ed eterna. Come la morte.
Ringrazio i tanti che hanno letto e quanti sinora sono intervenuti.
RispondiEliminaNaturalmente aspettiamo ancora altri contributi parte degli autori e anche dei nostri lettori
RispondiEliminaagazzi avevo scritto davvero una cosa interessante ma un attimo di pigiare El boton " pubblica" lo screen si è oscurato...
RispondiEliminaLa SPECTRE, anzi no, la CIA ci spia?
Andando lievemente fuori tema:
RispondiElimina1984 di Orwell
Si sta avverando o già si è avverato ai giorni nostri?
Mi è appena capitato tra le mani un libro, fortemente voluto da un mio nipote undicenne (e acquistato da un loro genitore: Lyon Favole di Mezzanotte.
RispondiEliminaHo provato a dare uno sguardo: mostri inquietanti, lupi mannari, teste mozzate, sangue dappertutto e... lieto fine? Ma manco per idea... Morale? Solo terrore terrore terrore!
Come farà un ragazzino a dormire la notte da solo nella sua stanzetra al buio?
Come reagirà da grande?
Noi avevamo il lupo che si mangiava la nonna e cappuccetto Rosso ma lo faceva "in un boccone", senza dovizia di particolari. Senza schizzi di sangue, occhi penzoloni e ossa triturate,
Se i ragazzini leggono queste porcherie, allora, ne vedremo (ne vedranno, perché noi per fortuna non ci saremo più) delke belle!
I particolari cruenti c'erano, nelle favole, eccome. Col tempo, diciamo da metà Ottocento in poi soprattutto, sono diventate sempre più letterarie e si sono sempre più "smussate" (ricordiamo che la favola non è nata come storia per bambini: fino a duecento anni fa non esisteva la narrativa per l'infanzia). Durante questa colata di vaselina abbiamo avuto, per limitarsi al Novecento, due guerre mondiali, non so quanti genocidi e stermini ed altre amenità e le "normali" guerre, rivoluzioni, e massacri di diverso ordine e grado. Dunque, come abbiamo reagito noi alle versioni "ad usum delphini?".
EliminaBisogna precisare che "Noi" è un insieme pouttosto vasto e racchiude tutti!
EliminaLe guerre, i genocidi e tutte le altre amenità citate, non sono state volute da "Noi", ma solo da una minima parte di "Noi"... la nostra colpa semmai è stata, ed è ancora, di aver permesso tutto ciò, chiudendo occhi, orecchie e coscienze.
Ma i pazzi si sa, ci sono sempre stati e ci saranno e ahimè. Faranno parte di quel "Noi".
Era da tempo che volevo intervenire. La domanda posta è perché non sappiamo più scriverle (le favole) siamo depressi? La butto in caciara e dico la mia come mi viene....siamo presuntuosi, deboli, stupidi, ignoriamo il prossimo e alla fine cadiamo in depressione sentendoci persi e a questo punto abbiamo perso la memoria e l'entusiasmo, che ci rimane? Di vivere nell'incazzatura perenne, nel pessimismo e nella tristezza, non sappiamo più ridere e navigare con la fantasia ma tranquilli metterà una pezza a tutto l'intelligenza artificiale. Lei si che saprascrivere le favole. Firmato il Fest
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