E vissero felici e contenti
Benvenuto !
Oggi parliamo di...
Favole!
Di quando finivano immancabilmente con un bel:
E vissero tutti felici e contenti.
Perché non le sappiamo più raccontare né tanto meno...
Scriverle?
Siamo tutti depressi?
Benvenuto !
Oggi parliamo di...
Favole!
Di quando finivano immancabilmente con un bel:
E vissero tutti felici e contenti.
Perché non le sappiamo più raccontare né tanto meno...
Scriverle?
Siamo tutti depressi?
Non credo sia sempre così!
RispondiEliminaLe favole che si raccontano ai bambini, che io sappia, finiscono sempre bene, anche se ormai si contesta tutto, da Biancaneve a Cenerentola, da Pinocchio a Cappuccetto rosso.
Secondo me, in questo mondo malato, il bene non è più di moda e le favole non esistono più
Grazie Zero Assoluto
RispondiEliminaMondo malato...
RispondiEliminaCertamente c'è stata una straordinaria accelerazione di tutte le dinamiche, incluse naturalmente quelle sociali.,..
Soprattutto in campo sessuale una trasformazione che talvolta appare decisamente sopra le righe...ma che comunque ha abbattuto tanti Taboo
RispondiEliminaMa... Carissimo Zero assoluto non arrocchiamoci nostalgici in difesa dei mitici " Tempi belli di una volta"
RispondiEliminaScrivere una favola, come d'altronde scrivere qualunque storia, richiede una elaborazione maggiore di quella richiesta dal semplice "mi ricordo di quando...". Se è lecito guardare a quanto viene pubblicato da LdM, sono sempre di più i ricordi autobiografici che le storie vere. Una storia vera richiede sempre un impegno di worldbuilding che forse spaventa molti.
RispondiEliminaIn realtà il c.d. "wordbuilding" come si usa dire oggi, ha a che fare soprattutto con la finzione. Nella finzione, a mio parere, il lavoro è doppio: prima osservi la realtà (anzi no: ti fai una tua visione della realtà e te la metti su carta o pc) e poi estrapoli gli elementi che servono alla storia. Scrivere una storia è un po' come dipingere: se ti allontani troppo non vedi una mazza, ma se ti avvicini troppo, magari in nome di un inesistente realismo (ragazzi: da centovent'anni circa sappiamo che tutto è relativo e la realtà potrebbe essere fatta di stringhe o quanti che vibrano nel nulla) vedi solo le singole pennellate e non capisci una mazza lo stesso. Il fantastico richiede un lavoro ancora un po' diverso e scrivere favole, da cui pure il fantastico deriva, un lavoro diverso ancora e forse persino più arduo (io non sono capace).
EliminaOttima argomentazione, a breve dirò la mia. Il Fest
RispondiEliminaGilbert Keith Chesterton: "le favole non servono per dire ai bambini che i draghi esistono: i bambini lo sanno già. Le favole servono per dire ai bambini che i draghi possono essere sconfitti". Oggi (parlo dell'ultimo decennio soprattutto) mentiamo ai bambini dicendo loro che i draghi non esistono, poi, così, quando ne incontrano uno... gnam!. Nessuno ha mai rassicurato davvero un bambino dicendogli che non c'è nulla nell'armadio, tranne la sua immaginazione: per un bambino l'immaginazione è tutto.
RispondiEliminaTerry Pratchett "è una questione pratica: devi comincare a credere nelle piccole bugie, come Babbo Natale, la Fatina dei Denti ecc. per poter credere a quelle grandi: cose come l'amore, la pietà... " (Hogfather).
Crescendo si impara che i mostri non sono enormi lucertole sputafuoco, ma, come dice Stephen King, i mostri, i fantasmi, sono reali: sono dentro di noi. E qualche volta vincono.
Sempre come dice King (Joyland) "quando c'è in ballo il passato, diventiamo tutti romanzieri". Fatalmente, il più delle volte non è che una superfetazione dell'ego.
Infine, metterei un cartello di direzione ben segnalato: la coerenza interna è una cosa, il realismo un'altra. La narrativa tradizionale esigeva una coerenza interna. Esigeva cioè una "struttura". Dal Novecento, con la crisi di senso della realtà e delle costruzioni ideologico - religiose, la narrativa si è sempre più de-strutturata. Paradossalmente, quindi. è più "realista" di quella tradizionale. Ciò porta a due tendenze opposte: da un lato narrazioni sempre più "caotiche" , dall'altro narrazioni "a tesi" - praticamente delle prediche. A livello di narrativa popolare, che non va mai sottovalutata (in Italia è stata sbertucciata per decenni ed anche per questo si legge meno), ciò porta a narrative che, malgrado le apparenze, sono accomunate dall'essere rassicuranti: nella narrativa "nera" il cattivo di solito viene preso e l'ordine ripristinato (non sto a citare Eco e Vogel) in quella rosa l'amore trionfa ecc. E' il famoso "lieto fine" che cerchiamo perchè e in cui, nella realtà, crediamo sempre meno. Dire; mi piacciono le storie realiste e a lieto fine è quindi una contraddizione grossa come il Titanic. Va bene, i gusti non si discutono, probabilmente è persino necessario, ma rimane una contraddizione. Ecco perchè, ma è una mia ubbia, penso che, malgrado le forme eventualmente fantastiche, horror e noir siano i generi più realistici: perchè non c'è una garanzia di lieto fine, che può esserci o no, come nella vita reale. Al contrario, le storie a tesi mi danno sempre l'idea di aver a che fare con un baro: siccome lui ha una certa idea, manipola la vicenda in modo che dica certe cose. Se la sua idea, cioè l'ipotesi, avesse una qualche plausibilità, non avrebbe bisogno di manipolare niente (che poi: dà lui le carte, sai che fatica). Se invece la vicenda è eterodiretta dall'autore, vuol dire che, se la lasciasse scorrere come deve, finirebbe da tutt'altra parte, perciò la sua idea, o ipotesi. è, molto probabilmente, sbagliata.
RispondiEliminaBella provocazione PRFF e ottima mini-analisi del Prof.
RispondiEliminaNon ho gli strumenti per un'analisi socio-culturale così strutturata delle favole e della narrativa fantastica, ma io penso che ben poche storie che ricadono in questa categoria sono davvero a lieto fine, soprattutto i classici! Per un/una protagonista che se la cava, un tot di altre persone finiscono male non sempre meritandoselo. Quindi rispondendo alla domanda implicita dell'articolo, i lieto fine non sono mai realmente esistiti! Alcuni finali erano/sono consolatori, più che a lieto fine, e non è esattamente la stessa cosa...
Se qualcuno vuole approfondire l'argomento, sono imprescindibili, anche a ilvello superficiale, gli studi di Vladimir Propp (in rete si trova molto); quanto alle favole e alle fiabe prego tutti di liberarsi della sindrome di Walt Disney - peraltro, un genio indiscutibile; le favole "doc"non sono quelle dei suoi cartoni animati, che, benchè oggi qualcuno le consideri cruente, hanno di molto annacquato le versioni solitamente dei Grimm, che a loro volta hanno edulcorato le versioni precedenti (mi pare che in quella di Perrault, per esempio, il lupo si pappi lupo e nonna e tanti saluti al cacciatore). Il loro scopo, in una società più dura di quella in cui viviamo, era educare sovente attraverso la paura: erano altri tempi. Se poi guardiamo alla tradizione orale, non messa per iscritto, io stesso conosco alcune storie narrate ai bambini da far rizzare i capelli in testa - una la trovate riportata pressochè identica ne "L'albero degli zoccoli" di Olmi.
Elimina