La Letteratura Fantastica [1/5]
Un'analisi del macro-genere scritta dall'utente di LdM Rubrus
"Fantastico" per me è ciò che, allo stato attuale delle conoscenze, non è verosimile, o plausibile, o estremamente improbabile, ma non me la sento di negare con assolutezza che, da qualche parte, anche in questo momento, Achille ed Ettore stiano ancora rincorrendosi sotto le mura di Troia sotto lo sguardo attento di Zeus. Schliemann ne sarebbe certo.
In secondo luogo e soprattutto, cerchiamo di non confondere
"reale" con "vero".
Per la letteratura fantastica, forse più che per ogni altra
forma di letteratura, vale quello che Proietti affermava in relazione al
teatro: tutto è finto, ma niente è falso.
Riservandomi di approfondire l'argomento nel prosieguo, mi
limito a osservare che sostenere che il fantastico parla di cose che "non
sono" (o "sono di meno") è, secondo me, ma senza mezzi termini,
un'emerita scemenza.
Il solito Qualcuno – che ormai sta diventandomi antipatico – sostiene che
il "genere" sia, in quanto tale, qualcosa di simile a un ghetto, una
taverna malfamata, una specie di club privé frequentato da gente poco
raccomandabile.
Peggio per lui, non intendo perdere tempo a convincerlo. Ci sono storie
scritte bene e storie scritte male: una storia scritta bene dice cose
intelligenti in modo interessante, una storia scritta male no. In mezzo ci sono
variabili pressoché infinite e, come direbbe Forrest Gump, non ho altro da dire
su questa faccenda.
Il Qualcuno, nella sua supponente onniscienza, ignora probabilmente che, per vedere bene le cose, a volte ce se ne deve allontanare.
Prendete un quadro: da vicino vedete le singole pennellate, da lontano ve lo gustate.
La letteratura fantastica (almeno quella buona) prende le distanze dalla realtà e, quando si torna coi piedi per terra, non è escluso che la si capisca meglio, la realtà. Certo, a esagerare si rischia di fare come quell’astronomo che, guardando le stelle, cadde nel pozzo, ma ad esagerare dall’altra parte si rischia di guardare il proverbiale dito anziché la Luna. Ora: io non ho nulla contro le dita, ma anche la Luna mi pare interessante. Osservando le cose da lontano, però, si rischia anche di prendere delle cantonate clamorose.
Nella lettura fantastica si parla spesso per maiuscole: il Senso della
Vita, l’Immortalità dell’Anima, la Morte, il Destino del Mondo, l’Esistenza di
Dio, lo Scopo dell’Umanità, l’Origine del Tutto e così via.
Tutti concetti, semplicemente, troppo grandi da poter essere facilmente
colti nel quotidiano. Bisogna prendere le distanze per capirli meglio e, così
facendo, si rischia di finire drammaticamente fuori strada o – peggio ancora –
di finire su strade così battute e consumate che, ad ogni passo, rischiate di
precipitare in un baratro.
Questo è, secondo me, il problema, non il "genere". Se volete metterla
in altre parole si potrebbe dire che è un genere molto difficile ("ma non
era inferiore?" be’, appunto).
"Bisogna scrivere di ciò che si conosce" capita di sentir dire… ma
quando mai. A parte il fatto che esiste un verbo come "documentarsi",
vorrei dirvi che si mi fate vedere un tale che pensa di "sapere" qualcosa
su una qualunque delle quotidiane relazioni umane, mi avrete fatto vedere,
probabilmente, un tizio maturo per il manicomio… inutile dirvi che penso sia
Qualcuno.
Divido la letteratura fantastica, per comodità, in tre grandi aree, che si sovrappongono e s’intersecano. Si tratta di generi, se volete, e quindi vale quanto scritto sopra. Servono, fino a un certo punto, a chi legge e a chi scrive, ma non ne faccio dei totem.
Sto parlando dell’horror, della fantasy e della fantascienza.
Avevo detto, però, che mi sarei limitato a quattro chiacchiere e mi accorgo
adesso di essere appena a un quarto dell’argomento… Be', forse sono un
chiacchierone.
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